Premessa

L’argomento di questo saggio riguarda  la devastante epidemia di HIV/AIDS dovuta alla trasfusione/donazione  di sangue e plasma che avvenne in Cina nella seconda metà del 1990.

Per comprendere appieno questa epidemia, che per le sue peculiarità è stata definita “con caratteristiche cinesi”, occorre conoscere  non solo le cause specifiche , cinesi appunto, che la determinarono , ma anche il “modello”   al quale i decisori politici cinesi si ispirarono per lanciare una campagna di raccolta del plasma a scopo  commerciale. La procedura impiegata  per effettuare tale raccolta si chiama plasmaferesi vale a dire  sottrarre (greco “aferesis”: tirar via) il plasma con i sistemi che vedremo. Tale plasmaferesi  è definita “produttiva” in quanto il suo scopo è quello di fornire il materiale per produrre farmaci  “Plasma-derivati”,  e   quando viene sfruttata dalle industrie farmaceutiche,  è definita “commerciale” , termine dal  duplice  significato:  a) quello di fornire la materia prima per  prodotti commerciali, b) in quanto il plasma è ottenuto da donatori a pagamento, che  vendono il proprio plasma come una merce. Pertanto, questi donatori sono anche chiamati “donatori commerciali”, in contrapposizione ai donatori volontari non retribuiti.

La Plasmaferesi commerciale fu introdotta negli USA  in modo massiccio  (tanto che fu definita “selvaggia”), a metà 1960 (nota 1), e fu questo il “modello americano” al quale si ispirarono i cinesi 30 anni dopo, quando decisero  di attuare una politica “capitalistica” anche in questo ambito, e la praticarono come fu detto eufemisticamente “in modo non corretto”.

Occorre, per quanto detto sopra, riassumere brevemente il quadro politico-sociale ed epidemiologico nel quale si produsse la diffusione del virus HIV con il commercio del plasma e le tragiche conseguenze che ne derivarono:  prima in Occidente e poi in tutto il pianeta , Cina compresa con le sue “caratteristiche”.

Il  famigerato HIV (in italiano Virus dell’Immunodeficienza Umana), responsabile di una serie di gravissime patologie raggruppate con la sigla AIDS (in italiano  Sindrome da Immunodeficienza Acquisita), come è ormai noto a tutti,  si diffuse in mondo esplosivo nella prima metà del 1980. Secondo la ricostruzione più in voga, partì dall’Africa, giunse in  Centro America (Haiti), poi in USA e da qui in Europa ed in tutto il resto del mondo (nota 2).

L’HIV è un virus molto fragile nell’ambiente esterno, pertanto non viene trasmesso per via aerea, con i normali contatti tra le persone o gli oggetti contaminati. Rarissima è addirittura la trasmissione per puntura di aghi (da iniezione) infetti, punture accidentali che, malgrado tutte le precauzioni, avvengono  tra gli operatori sanitari. (nota 3).

L’HIV si trasmette  con i  rapporti sessuali:  più frequentemente quelli  tra omosessuali maschi  (per la maggiore  fragilità della mucosa rettale rispetto a quella vaginale) e da uomo a donna (per la presenza del virus nello sperma). Naturalmente il rischio di trasmissione è massimo in caso di rapporti non protetti col preservativo, e tanto più se il soggetto ha  molti partners (promiscuità). Così le infezioni si moltiplicano a dismisura.

Un’altra efficace via di trasmissione è rappresentata dall’uso di droga per via endovenosa quando, e ciò avveniva assai frequentemente, si ha lo scambio delle siringhe (alto rischio): tracce di sangue infettato dall’HIV di un sieropositivo  trasmettono il virus ad altri a dismisura. Le due principali vie di trasmissione si alimentano a vicenda quando l’utilizzatore di droga endovena portatore di HIV si prostituisce per comperarsi altra droga, oppure trasmette il virus ad una donna, che se poi rimane incinta può trasmettere il virus al neonato con  ulteriore amplificazione della diffusione virale.

Quanto sopra è quello che risultava all’inizio dell’epidemia e cioè fino al 1985, quando fu identificato il virus (nota 4)  e, a tempo di record, furono allestiti e commercializzati  i tests per identificare i portatori asintomatici: i “sieropositivi”.  Infatti,  i soggetti  diagnosticati inizialmente per l’AIDS,  erano in larghissima maggioranza omosessuali maschi ,  gli utilizzatori di droga endovena, e spesso le due categorie coincidevano  (nota 5). Essi rappresentavano però solo la punta dell’iceberg.

Non appena i tests HIV, che rivelano gli anticorpi contro il virus (ma non lo eliminano, e quindi i sieropositivi sono altamente infettivi), vennero ampiamente utilizzati, si evidenziò la grandissima diffusione dell’infezione negli  utilizzatori di droga endovena  e negli omosessuali maschi, con comportamenti “ad alto rischio”, ma anche, sebbene in misura molto minore, anche negli eterosessuali sia maschi che femmine ed anche  in donatori di sangue e pazienti trasfusi.

Ed ecco che arriviamo all’argomento del saggio: l’HIV aveva contaminato anche alcuni donatori di sangue che lo avevano poi trasmesso ai riceventi. Fortunatamente si trattava di casi molto rari, tra i donatori volontari, e tra  questi erano stati contagiati prevalentemente quelli che risiedevano nelle aree con alta prevalenza di soggetti con comportamenti ad alto rischio (nota 6). Le aree più incriminate erano ad esempio a New York e a San Francisco negli USA, culle dell’epidemia, poi “esportata” in Europa, ad esempio a Parigi, dove prevalevano i soggetti con i comportamenti più “trasgressivi” (nota 7).

Ma ben presto si scoprì che la trasfusione del sangue, o meglio dei  prodotti ottenuti dalla sua parte liquida, il plasma, aveva trasmesso l’HIV in altissima percentuale in una specifica categoria di malati: gli emofilici (nota 8). Gli emofilici sono soggetti con carenza ereditaria di fattori della coagulazione (fattore VIII o fattore IX) che li espone a frequenti e dolorose emorragie, soprattutto  articolari e  muscolari che, se non trattate portano a grave invalidità. Molto meno frequentemente le emorragie avvengono in altre sedi come il cervello o l’intestino, nel qual caso possono essere anche letali.

Verso la metà del 1960 venne introdotto un trattamento assai efficace per controllare le emorragie fino a permettere addirittura di effettuare con sicurezza interventi chirurgici. Il trattamento consiste nella infusione endovenosa  di un prodotto ottenuto dal congelamento del plasma che contiene i fattori coagulanti in forma molto concentrata (nota 9). Inizialmente il prodotto venne ottenuto dal plasma dei donatori volontari, non retribuiti, nelle banche del sangue ospedaliere o di altre istituzioni come la Croce Rossa. Questo prodotto era il “crioprecipitato”, e una dose efficace poteva essere ottenuta mescolando poche unità ottenute ciascuna da un singolo donatore volontario (small pools).

Ben presto gli scienziati di una grossa e peraltro preziosa Multinazionale Farmaceutica, la Baxter Hyland, escogitarono un metodo che permetteva di ottenere un prodotto purificato e liofilizzato, più maneggevole che poteva essere utilizzato a domicilio dai pazienti (nota 10). Per poter produrre in modo industriale questo nuovo tipo di concentrato si doveva disporre di enormi quantità di plasma mescolando le unità ottenute da molte migliaia di donatori (large pools).

L’industria americana che già produceva Plasmaderivati come Albumina e Immunoglobuline (ovvero gli Anticorpi)  individuò in questo prodotto un formidabile business, e si lanciò in un megalomanico progetto che mirava a coprire il fabbisogno non solo dei circa 20.000 emofilici nazionali, ma addirittura di quelli di tutti i paesi che potevano comperarlo a caro prezzo. Per realizzare questo progetto occorrevano però enormi quantitativi di plasma che non potevano essere ottenuti dai donatori di sangue volontari, almeno nelle condizioni tecnico-organizzative allora esistenti.

Occorrevano molti donatori disposti a donare quantità notevolissime di plasma mediante “Plasmaferesi” sottraendo al donatore il solo plasma e restituendogli i globuli rossi. I donatori volontari non erano certo disponibili a sottoporsi ai numerosi salassi che era possibile effettuare senza compromettere la loro salute, almeno secondo  quanto sostenevano autorevoli scienziati, contro il parere di altri altrettanto autorevoli (nota 11), e quindi le Ditte produttrici si orientarono verso i donatori a pagamento.

Donatori che davano il loro sangue a pagamento avevano avuto una larga diffusione negli USA nel secondo dopoguerra del novecento (fin dagli anni ’50), perché la donazione volontaria non era sufficiente a soddisfare le richieste degli Ospedali. Così proliferarono “Agenzie commerciali” che prelevavano il sangue da donatori a pagamento o commerciali. Queste Agenzie, gestite a scopo di lucro (rispetto a pochi dollari dati al donatore, le unità di sangue raccolte venivano vendute a caro prezzo agli Ospedali), da “affaristi” senza scrupoli e senza competenze mediche specifiche, reclutavano i donatori tra i derelitti dei quartieri poveri, con alta prevalenza di alcoolisti e drogati. Questi donatori erano in larga misura portatori di virosi persistenti, vale a dire serbatoi di virus circolanti nel  sangue che non venivano eliminati dal loro sistema immunitario e pertanto erano trasmissibili ai pazienti trasfusi (nota 12).

Questo commercio di sangue ad alto rischio di trasmissione di virus, in particolare quelli che causano l’epatite  (virus a quel tempo del tutto sconosciuti), provocò una larga diffusioni di epatiti nei pazienti trasfusi e continuò fino ai primi anni del 1970, quando furono introdotti i test per evidenziare i portatori di uno dei due virus epatitici trasmissibili: il Virus Epatite B (HBV)  (nota 13).

Dalla metà del 1970 fu proibita la raccolta del sangue dai donatori commerciali, ma paradossalmente fu consentita dalle Autorità Sanitarie (FDA in testa) la plasmaferesi produttiva commerciale che abbiamo descritto per consentire all’Industria dei Plasmaderivati  di ottenere la sua materia prima (plasma source) e realizzare il suo ambizioso progetto (nota 14).

Il progetto si realizzò con grande successo tanto che i fattori antiemofilici divennero il prodotto trainante dei vari Plasmaderivati, ma le quantità richieste di fattori antiemofilici salirono alle stelle per una martellante campagna propagandistica  promozionale condotta dalle Ditte produttrici con le tecniche di marketing più efficaci e con l’entusiastica adesione dei Medici responsabili del trattamento degli emofilici e dei pazienti stessi (associati nella Fondazione dell’Emofilia) (nota 15).

Questo entusiasmo era più che comprensibile, se si tiene conto delle sofferenze veramente indicibili per le continue  dolorose emorragie che rendevano assai precaria la qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari. La possibilità di infondere il concentrato commerciale a casa propria, indusse molti emofilici a un uso eccessivo al minimo sintomo, e il superconsumo fu amplificato anche da programmi di trattamenti profilattici che prevedevano infusioni del concentrato due o tre volte alla settimana (nota 16).

Le multinazionali dei plasmaderivati avviarono pertanto un programma di sviluppo che richiedeva quantitativi di plasma sempre maggiori. Le Agenzie commerciali vennero riciclate per il prelievo di plasma (plasmaferesi) ai donatori a pagamento, Agenzie che operavano in modo non dissimile da come era avvenuto per il sangue. Per aumentare le rese, e poter disporre di donatori che non potevano scappare, vennero reclutati anche carcerati, dove vigevano condizioni igienico sanitarie a dir poco precarie (nota 17).

Ma la richiesta lievitava sempre più. E così la corsa sfrenata all’approvvigionamento del plasma si diresse al di fuori dei confini degli USA: Messico, Centro America in primis, ma anche in moltre altre Nazioni e in altri Continenti. La storia è raccontata dettagliatamente nel citato studio più noto e documentato sulla vicenda (nota 18). Ricordo qui solo che dal paese più vicino, il Messico, i donatori si recavano passando la frontiera con gli USA clandestinamente (ma i sorveglianti chiudevano entrambi gli occhi), a vendere il sangue presso Agenzie dislocate in territorio statunitense vicine alla frontiera stessa. Se ne parlerà più avanti perché anche in questo caso si ebbe una diffusione dell’HIV/AIDS, simile a quella cinese, anche se per fortuna più contenuta (vedi PARTE II,2 nota.15).

I metodi impiegati per la  produzione industriale dei concentrati antiemofilici, risultarono essere i più efficaci per ottenere dei prodotti contaminati per i virus trasmissibili (Epatite B e C prima, e l’HIV poi), per tre motivi: a) la plasmaferesi dai donatori ad alto rischio di infezioni virali trasmissibili con il sangue, b) il numero elevatissimo di plasmaferesi per singolo donatore definito anche “donatore professionale” in quanto questa attività era divenuta per molti l’unica fonte di guadagno (“plasmaferesi selvaggia”), cosicchè, nel caso in cui il donatore fosse un portatore, il pool veniva sovraccaricato di virus, ed infine c) l’impiego dei “large pools”. Questi ultimi risultavano essere praticamente tutti contaminati per i virus  non ancora identificati (Epatite B, fino a metà anni ’70, HIV fino a metà anni ’80 ed Epatite C fino all’inizio del 1990)  (nota 19).

Infine non si può non ricordare anche l’escamotage introdotto dalle Industrie, che, per mantenere il monopolio del mercato, adottarono un metodo di inattivazione virale (prima proposto per il virus epatite C e poi rivelatosi efficace per l’HIV), trattando il concentrato antiemofilico ad alta temperatura. Il metodo risultò solo parzialmente efficace (e dovette essere modificato), ma servì a mantenere in piedi l’utilizzo dei donatori a pagamento e l’impiego dei “large pools”. Questo metodo, oltre a inattivare il virus inattivava anche pesantemente il fattore antiemofilico (fino al 70-80%) con la conseguenza che il pool dei plasmi doveva ingigantirsi ancora di più ed altrettanto avveniva per il prezzo del prodotto che arrivò a cifre stratosferiche (nota 20).

La conseguenza fu che gli emofilici trattati solo  con i concentrati antiemofilici commerciali vennero infettati dall’HIV in elevatissime percentuali rispetto a quelli che erano stati trattati solo con i crioprecipitati (nota 21) e la mortalità da AIDS raggiunse livelli che non è esagerato definire come una vera e propria strage  (nota 22).

Questo è quanto avvenne nei paesi capitalistici, frutto del mercato globalizzato e della politica che, con buoni motivi qualcuno ha definito “criminale”, delle Multinazionali produttrici dei Plasmaderivati antiemofilici.

Rifuggendo dall’ideologia complottistica che demonizza sempre e comunque le Multinazionali come causa di tutti i mali che affliggono l’umanità, va ricordato come le responsabilità di quanto accaduto va anche condivisa (attribuendo a ciascuno la sua parte): a) alla maggior parte dei medici responsabili della cura degli emofilici, che non compresero in tempo i rischi che facevano correre ai propri pazienti, rispetto agli innegabili benefici di un trattamento considerato troppo ottimisticamente “salvavita”, b) ai Governi che autorizzarono, come l’Italia, l’importazione di prodotti farmaceutici ottenuti con sistemi che violavano apertamente le disposizioni legislative vigenti in materia  e c) le Associazioni dei Pazienti, che pur essendo state avvertite da alcuni tra i più autorevoli medici e scienziati sulla pericolosità dei concentrati commerciali continuarono a sollecitarne un consumo sempre maggiore sottovalutandone i rischi (nota 23).

Quanto  ho descritto per sommi capi, l’epidemia di HIV/AIDS tra i pazienti emofilici trattati in larghissima misura con i concentrati antiemofilici commerciali, e  variamente definita come “una tragedia annunciata”, “lo scandalo” o  il “crimine” del “sangue infetto” (ma è più esatto definire “plasma infetto”) è quello che avvenne nel mondo capitalistico globalizzato trainato dagli Stati Uniti d’America, che coinvolse Occidente (Europa), ed Oriente (Giappone) con poche eccezioni.

Ma cosa avvenne nel resto del mondo? Qui si devono distinguere i due colossali Paesi a regime Comunista, o meglio  “ex -comunista” (Unione Sovietica e relativi “Satelliti”) o “post -comunista” (Cina Popolare), e quelli del “Terzo Mondo” (Africa, India, Sud America ecc.). Non intendo certo affrontare questo tema così ampio (anche se sarebbe interessante che qualche studioso lo facesse): per quanto riguarda i paesi del Terzo Mondo, essi parteciparono come si è visto, quali fornitori delle materia prima a basso costo ma ad alto rischio. Per quanto riguarda i due colossi Comunisti, le maggiori informazioni riguardano la Cina popolare, e di questa mi occuperò.

Mi è parso che valesse la pena di introdurre l’argomento dedicando un capitolo alle due gravissime carestie avvenute prima nell’Unione Sovietica stalinista e poi nella Repubblica Popolare Cinese maoista, dovute alla disastrosa politica agraria in entrambi quei paesi.

Per quanto riguarda la Cina, quella carestia, che produsse decine di milioni di morti, fu anche la premessa per un’altra disastrosa politica, quella del commercio del plasma, lanciata allo scopo di alleviare le condizioni di gravissima miseria  in cui versava ancora negli anni ’90 del secolo scorso, la popolazione cinese nelle campagne  (circa 800 milioni di persone). Il risultato di quella politica fu altrettanto disastroso, poiché comportò l’amplificazione della diffusione dell’HIV/AIDS nella popolazione rurale (centinaia di migliaia di persone). L’epidemia aggravò ancora di più le condizioni di miseria, alle quali si aggiunsero tutte le gravissime conseguenze  economiche, per la salute, la qualità di vita e i rapporti sociali per le vittime dell’infezione. Ma la carenza di strutture sanitarie ed assistenziali, la disinformazione e le inadeguate misure di prevenzione, permisero la diffusione del virus anche al di fuori delle zone rurali, aggiungendosi a quella dovuta all’uso di droga endovena, all’omosessualità tra maschi ed alla prostituzione. L’infezione da HIV è ormai divenuta endemica.

Di tutto ciò si tratterà diffusamente utilizzando fonti diverse (giornali, TV, il web, saggi e testimonianze dirette, un romanzo…), la cui attendibilità è confermata da una inoppugnabile documentazione prodotta da Enti Governativi cinesi, Organizzazioni internazionali (OMS e Università), e soprattutto lavori scientifici prodotti da ricercatori competenti (virologi, epidemiologi, clinici ma anche sociologi ed esperti in Politiche Sociali) in larga misura cinesi, spesso in collaborazione con studiosi occidentali, che hanno studiato l’epidemia “sul campo” in ampie casistiche e con le metodologie più accurate e moderne.

Lo scopo di questo lavoro è quello di offrire un resoconto più ampio e documentato possibile di questa epidemia che, benché sia stata descritta assai efficacemente in un’ampia serie di saggi e rapporti divulgativi, non è stata sufficientemente portata all’attenzione del pubblico più vasto e, dopo una fiammata di informazioni nei media (ma con la gravissima eccezione della RAI/TV) nel primo decennio del duemila, ora sembra entrare nel dimenticatoio.

Va in proposito ricordato quanto scrive il  giornalista francese, tra i primi testimoni diretti (in Occidente)  dell’epidemia, di cui parlerò ampiamente in seguito:

“ Il massiccio contagio da HIV dei contadini dell’Henan non ha paragoni al mondo e certo rappresenta uno uno dei più grandi scandali che hanno accompagnato quest’ epidemia planetaria a partire dalla sua comparsa, più di vent’anni fa.”  Pierre Haski 2005 (nota 24)

NOTE

  1. Plasmaferesi commerciale “selvaggia”: così si può tradurre il termine “wildcat”con il quale, in modo molto appropriato viene definita dall’Autore di uno dei più documentati saggi divulgativi sull’argomento, di utilissimo valore ancora oggi: Douglas  STARR: BLOOD An Epic History of Medicine and Commerce  A.A.Knopf, New York 1999: Wildcat Days, capitolo 13 pagg.231-249
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  2. L’infezione da HIV, documentata retrospettivamente in casi sporadici in Africa fin dalla fine degli anni 60, passò in breve tempo ad Haiti e negli USA, a causa  soprattutto del turismo a scopo sessuale (omosessuale) di ricchi americani a caccia di giovani partners (a pagamento) nell’isola caraibica. L’argomento è riassunto molto efficacemente in una pubblicazione divulgativa anch’essa utilissima ancora oggi: BEDARIDA Guglielmo, CAMBIÈ Giuseppe, D’AGOSTINO Francesco, CHIOZZI Giorgio: Introduzione all’AIDS. Testo Atlante di Modelli Divulgativi. Antonio  Delfino, Roma 1991: pag.120.
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  3. È bene ricordare che il rischio di trasmissione dell’HIV tra gli operatori sanitari è minimo e non esistono casi sicuramente documentati, contrariamente a quanto è stato dimostrato per il virus epatite B: GERBERDING J.L. BRYANT-LE BLANC C.E. NELSON K.e al.: Risk of human immunodeficiency virus, cytomegalovirus, and hepatitis B virus transmission to health care workers exposed to patients with acquired immunodeficiency syndrome (AIDS) and Aids related conditions. J Infect Dis 156:1-8 1987, e il virus epatite C: CARIANI E. ZONARO A. PRIMI D. MAGNI E. INCARBONE C.  SCALIA P. TANZI E. ZEHENDER G. ZANETTI A.R.: Detection of HCV RNA and antibodies to HCV after needlestick injury. Lancet (letter) ii:850 1991.
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  4. Identificazione dell’HIV e tests diagnostici. È d’obbligo citare i due fondamentali lavori sulla scoperta dell’HIV:
    A) BARRÈ SINOUSSI F. CHERMANN J.C. REY F. NUGEYRE M.T. CHAMAREL S. GRUEST J. DAUGUET C. AXLER-BLIN C. VEZINET-BRUN F. ROUZIOUX C. ROZEMBAUM W. MOTAGNIER L.: Isolation of a T-lymphotropic retrovirus from a patient at risk for acquired immune deficiency syndrome (AIDS) Science 220:868-71 1983
    B) GALLO R.C. SALAHUDDIN S.Z. POPOVIC M:GOEDERTGG SHEARER G.M. KAPLAN M. HAYNES B.E. PALKER T.I. REDFIELD R. OLESKE J. SAFAI B. e al.: Frequent detection and isolation of cytopathic retroviruses (HTLV III) from patients with AIDS and at risk for AIDS. Science 224:500-03, 1984. La scoperta ottenne nel 2008 il Premio Nobel, attribuito al gruppo francese che rivendicò la priorità nella pubblicazione anche se il pioniere nello studio dei retrovirus, che aprì la strada alla scoperta fu indiscutibilmente il gruppo statunitense guidato da Robert Gallo.
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  5. Le categorie ad alto rischio di infezione HIV furono identificate per primi dai ricercatori dei Centri di Controllo per le Malattie (CDC) di Atalanta (USA): GUINAN ME, THOMAS PA, PINSKY PF, GOODRICH  JT, SELIK RM, JAFFE HW, HAVERKOS  HW, NOBLE G, CURRAN JW. Heterosexual and homosexual patients with the acquired immunodeficiency syndrome. A comparison of surveillance, interview, and laboratory data. Ann Int Med 100: 213-8, 1984.
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  6. La trasmissione dell’HIV in pazienti politrasfusi, quelli a maggior rischio di infezione perché trasfusi con centinaia di unità di sangue da donatori volontari,  fu irrisoria  nel periodo precedente l’introduzione dei tests per evidenziare il virus.
    A) Di  3633 pazienti  thalassemici trasfusi con 96518 unità di sangue: 57 risultarono HIV positive (1,56%)  LEFRERE J.J. GIROT R On behalf of the Study Group on HIV infection in thalassaemia patients of the European and Mediterranean WHO working Group in Haemoglobinopathies. 66 partecipanti:  Risk of HIV infection in polytranfused thalassaemia patients. Lancet (letter) ii: 813, 1989.
    B) Uno studio USA: Casi di AIDS riportati tra il 1981 ed il 1994 tra i pazienti  trasfusi con il sangue (milioni): 7654 ( di cui 365 bambini), tra gli emofilici infusi con concentrati commerciali ( circa 10.000): 3725 (di cui 229 bambini)  BAYER R. Blood and AIDS in America. Science, Politics, and the Making o an Iatrogenic Disaster. In:  FELDMAN E.A., BAYER R.  Blood Feuds – AIDS, Blood, and Politics of Medical Disaster Oxford University Press, 1999.
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  7. Va ricordata in particolare la Francia perché, come vedremo in seguito, venne ingiustamente accusata di essere la Pietra dello Scandalo per la diffusione dell’HIV tra gli emofilici a causa dell’elevata prevalenza di HIV positività tra i suoi donatori volontari (che risultò falsa), equiparati ai donatori commerciali utilizzati dalle Ditte Farmaceutiche. Queste accuse vennero puntualmente e con ampia documentazione smentite dal celebre scienziato e Direttore per 30 anni del Centre National de Transfusion Sanguine di Parigi: SOULIER Jean Pierre: Trasfusion ed SIDALe droit à la vérité Ed. Frison Roche, Paris 1992.
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  8. Sull’elevatissima trasmissione dell’HIV negli emofilici vi è abbondantissima documentazione. Si può prendere ad esempio la tabella pubblicata dalla Federazione Mondiale dell’Emofilia nel 1989 (riportata da SOULIER op. cit. pag.77), dove sono indicate le percentuali di sierpositività nelle varie Nazioni del Mondo Occidentale. Riporto solamente i dati relativi al Paese Guida, gli USA: Emofilici lievi: 60%, Emofilici gravi: 90%.
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  9. POOL J.G. HERSHGOLD E.J. PAPPENHAGEN A.R.: High Potency Antihemophilic Factor Concentrate Prepared from Cryoglobulin Precipitate. Nature 203:3121964.
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  10. BRINKHOUS KM, SHANBROM E, ROBERTS HR, WEBSTER WP, FEKETE L, WAGNER RH. A new high-potency glycine-precipitated antihemophilic factor (AHF) concentrate. Treatment of classical hemophilia and hemophilia with inhibitors. JAMA  205: 613-7, 1968 . La Multinazionale Baxter-Hyland-Fenwal  (e associate come IMMUNO di Vienna) fu  in larghissima misura responsabile della trasmissione dell’HIV negli emofilici  USA ed in quelli di tutto il mondo a influenza  USA (Italia compresa),  per i suoi metodi di produzione del concentrato antiemofilico commerciale, come vedremo subito.  Il colosso Farmaceutico fu peraltro prezioso nel settore della trasfusione di sangue per i suoi prodotti diagnostici e tecnologici quali  le sacche in plastica e le macchine per la separazione cellulare. Entrambe queste innovazioni permisero di poter effettuare la plasmaferesi, manuale con le prime, e automatizzata con le seconde.
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  11. Autorevoli scienziati USA riportarono che era possibile sottrarre 5 litri di sangue alla settimana (60 litri all’anno) senza impoverire significativamente l’organismo di proteine. Solo la sottrazione di 6 litri di plasma  alla settimana per un anno in soggetti (carcerati della Lousiana) con dieta proteica “borderline” (50 g al giorno) poteva ridurre il livello di Albumina in alcuni di essi: J.L. TULLIS Current plasmapheresis practice in the United States, La Ricerca Clin.Lab. XIII (1): pag 15, 1982 . La regolamentazione USA consente perciò la sottrazione di plasma fino a 50-60 litri all’anno, mentre in Europa è di solo 15 litri all’anno: MOLLISON P.L. ENGELFRIET C.P. M. CONTRERAS: Blood Transfusion in Clinical Medicine. EIGHT ED. Blackwell Scientific Publications, 1987. Pag.17.
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  12. STARR op. cit. Cap 11 The Blood Boom Pagg. 186-206, e Cap.12 Bad Blood Pagg. 207-230.
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  13. BLUMBERG B.S ALTER H.J. VISNICH S: A “New” Antigen in Leukemia Sera JAMA 191: 541-6, 1965.
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  14. STARR op. cit. Cap. 31 Wildcat Days Pagg. 231-249.
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  15. Il boom di richieste dei concentrati commerciali avvenne in Italia, come in altri Paesi,  grazie alla massiccia promozione del marketing, sostenuta dai  medici della Fondazione dell’Emofilia e da una Associazione di Emofilici finanziata  dalla  Ditta IMMUNO (BAXTER).  La cronistoria della vicenda è reperibile in Internet http://www.hemoex.it/index.php/storia
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  16. Sul superconsumo di concentrati commerciali e relativi superprofitti delle Multinazionali basta una sola citazione riguardante la Germania Ovest, che superò perfino gli USA dai quali importava questi prodotti.: “ Come Nazione, la Germania Ovest consumava più fattore VIII di tutti gli altri paesi europei messi insieme; solo un ospedale spese per il fattore VIII più di di tutti gli Stati Uniti”. Il Fattore VIII veniva venduto ad un prezzo tre volte superiore a quello degli Stati Uniti. STARR op.cit. pag.241.
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  17. Per quanto riguarda la Plasmaferesi commerciale effettuata in USA nelle carceri, era ben nota l’elevata incidenza di portatori di virus epatitici nei donatori ivi reclutati, tanto che Edward Shanbron, uno dei due scienziati che sviluppò il concentrato antiemofilico presso i Laboratori Hyland -Baxter (vedi nota 10), cercò di convincere i suoi superiori a prendere misure preventive quali la chiusura dei propri (dell’Hyland) centri di raccolta ad alto rischio (“hot spots”), ma  i suoi consigli furono ignorati e alla fine fu licenziato. http://www.pbs.org/wnet/redgold/innovators/bio_shanbrom.html
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  18. STARR op. cit. Cap. 31 Wildcat Days Pagg. 231-249.
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  19. La inoppugnabile dimostrazione che il plasma impiegato come materia prima dalle Multinazionali per la produzione dei vari derivati, era in larghissima misura ottenuto da donatori ad alto rischio di infezione HIV, avvenne quando, con l’introduzione dei test per evidenziare gli anticorpi contro il virus (anti-HIV) nel 1985, le Immunoglobuline commerciali (ovvero gli anticorpi prodotti a scopo terapeutico) ottenute da quel plasma, risultarono in larghissima misura positive per gli anticorpi anti-HIV stessi. I risultati vennero confermati dai più autorevoli Laboratori in tutto il mondo: BREMARD-OURY C. COURUCE A.M. BADILLET M. e al. (Parigi) Lancet 10,May: p.1090, 1986 – AIUTI F. CARBONARI M. SCANO G. PANDOLFI F. (Roma) ibid. p. 1091 – BENEVENISTE R.E. OCHS H.D. FISHER S.H. e al. (USA) ibid. p. 1091-2 – IKEDA Y.  HIRANO T. MURAKAMI H. (Tokyo) ibid. p. 1092 – HEIN R.  Mc CUE J. MOZEN M.M.  ROUSSELL R.H. (USA) ibid. 24,May p.1217-18 – MORGENTHALER J.J. (Berna) ibid.p.1218  PISZKIEWICZ D. MANKARIOUS S.  HOLST S. DILLON K.: (USA) ibid. 7,June, p.2200 – ma anche: WOLFE W.H. (USA) JAMA 24 Oct.
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  20. Per rimanere sull’esempio Germania/USA (vedi nota 16): “Il Fattore Anti Emofilico (AHF) tedesco era 10 volte più caro del prodotto non trattato (al calore). L’AHF americano, trattato al calore era più caro di circa il 20% del prodotto non trattato”.  GLIED S. The Circulation of the Blood AIDS, Blood, and the Economics of Information in: FELDMAN E.A., BAYER R. op.cit.pag.334
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  21. Infezioni HIV trasmesse dai crioprecipitati di fattore VIII: in Finlandia 2 casi su 214 (0,94%),  RASI V. IKKAKA E. NEVANLINNA H.R.: Low prevalence of Antibodies against Human Immuno- deficiency Virus in Finnish Haemophiliacs. Vox Sang 60: 159-61, 1991, in Francia all’Ospedale St.Antoine , l’area parigina più colpita dall’AIDS, “un vecchio medico che diffidava dei nuovi ‘prodotti miracolosi’ continuò ad usare il crioprecipitato salvando molti emofilici”  STEFFEN M. The Nation’s Blood Medicine, Justice, and the State in France in : FELDMAN E.A., BAYER R. op.cit. pag ,104, negli USA Oscar RATNOFF, “…uno dei leaders nel campo della ricerca sulla coagulazione…stabilì nel 1983 che vi erano sufficienti informazioni sul pericolo dei concentrati di  AHF (Fattore VIII) nel 1983, per cessare  di usarlo in favore del crioprecipitato.  Infatti, Ratnoff si riferiva al crioprecipitato preparato localmente da donatori conosciuti. In un altro articolo Ratnoff e collaboratori conclusero che prima del 1980 nessuno dei suoi campioni, plasmi di controllo o plasmi di emofilici contenevano anticorpi contro il virus dell’AIDS. Tuttavia, dal 1980 al 1984, la presenza di anticorpi contro il retrovirus nei campioni degli emofilici salì dal 15% al 62%, e l’aumento era dovuto solamente alla presenza degli anticorpi nei pazienti emofilici  che erano trattati con i concentrati di fattore VIII preparati da migliaia di donatori. D’altro canto, nessuno dei pazienti emofilici trattati con il crioprecipitato preparato localmente erano positivi per gli anticorpi”. ROBERTS HR. Historical Rewiew. Oscar Ratnoff: his contributions to the golden era of coagulation resear.  Brit J Haemat 122: 180-192, 2003. In Italia , al Centro per le Malattie del Sangue e Servizio di Immunoematologia e Trasfusione  di Castelfranco Veneto (Treviso) diretto da Agostino Traldi, pioniere della cura e trattamento degli emofilici: “La prevalenza di positività anti_HIV-1  in 565 emofilici è dell’11% (52/489)”: dati preliminari avevano evidenziato in 60 emofilici A e B gravi trattati solo con concentrati commerciali una percentuale di sieropositività del 48%, mentre nessuno di 45 Emofilici A gravi trattati solo con criopreciopitato risulava HIV positivo.  TAGARIELLO G. CAVALLIN F. DAVOLI P.G. GAJO G.B. DE BIASI E. TRALDI A:  Pharmacovigilance for plasma-derived clotting  factor concentrates. Lancet ii: 1489, 1993 e  TRALDI A.: AIDS – Emofilie  COVEGNO LODI 1988 (comunicazione personale).
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  22. Mortalità tra gli emofilici trattati con i concentrati commerciali. Un resoconto estremamente completo e dettagliato dal 1977 al 1991 fu redatto dal Registro Nazionale per l’Emofilia del Regno Unito, che  riporta i dati riguardanti  6.278 Emofilici. Nel corso degli anni 1979 – 1986, 1227 soggetti sono infettati con l’HIV. Di  2.448 Emofilici gravi, il tasso annuo di mortalità rimase stabile all’8 per 1.000 nel corso del 1977-84. Nel corso del 1985-92 i tassi di mortalità rimasero invariati tra i pazienti sieronegativi, ma aumentarono vertiginosamente nei sieropositivi raggiungendo l’85 per 1.000. Analogo comportamento si ebbe per i soggetti con Emofilia moderata o lieve”. Questo grande eccesso, insieme al quadro temporale dell’incremento in coloro che vennero infettati, la similarità dell’ eccesso del tasso di mortalità  associato all’infezione HIV indipendentemente dalla gravità dell’Emofilia, e l’ampio incremento della mortalità dovuto a condizioni solitamente non associate all’Emofilia, dimostrano in modo particolarmente chiaro l’enormità e la specificità dell’effetto dell’infezione HIV-1 sulla mortalità di questa popolazione”. DARBY S.C. EWART D.W. GIANGRANDE P.L.F. DOLIN P.J. SPOONER R.J.D. RIZZA C.R. (on the behalf of the UK Haemophilia  Centre Directors) : Mortality before and after HIV infection in the complete UK population of haemophiliacs. Nature 377: 79-82, 1995.
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  23. Sulla responsabilità dei medici, governanti e associazione dei pazienti (Fondazione dell’Emofilia) accennate nella nota 15, vi è ampia documentazione nel pregevole saggio di Umberto IZZO : Blood,Bureaucracy, and Law Respondig to  HIV-Tainted Blood in Italy  pagg 214-241  in FELDMAN  BAYER op.cit.
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  24. HASKI P.: Le sang de la Chine Grasset et Pasquellle 2005 – Ed italiana : Il sangue della Cina -Un reportage sullo scandalo di un’epidemia negata dal potere politico  Sperling e Kupfer Milano 2006.
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